Matrix Resurrections -il declino di un’icona-

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A 23 anni di distanza dal primo, l’1 gennaio è uscito in sala il quarto capitolo della saga di Matrix. Diretto unicamente da Lana Wachowski, il film si proponeva di riportare in auge uno dei film più iconici della storia del cinema facendo leva sull’effetto nostalgia che nell’ultimo decennio sta spopolando ad Hollywood. A far ben sperare era stato il genuino entusiasmo di Keanu Reeves all’idea di tornare a ricoprire il ruolo di Neo, dopo anni in cui aveva affermato che avrebbe ripreso tale parte solo ed unicamente se ci fosse stata una buona sceneggiatura alla base.

Matrix Resurrections è stato invece un’immensa delusione. La pellicola cerca unicamente di sopravvivere affidandosi all’effetto nostalgia citato poco fa, pensando dunque che il fan service sia sufficiente a mantenere l’interesse e l’appoggio dello spettatore. Ma se in un contesto Marvel ciò può anche andare bene (vedasi il recente caso di No way Home), in un film come Matrix che è sempre stato infarcito da profonda filosofia, è inaccettabile.

 

La pellicola può essere sostanzialmente divisa in due parti: una prima metà prolissa nella quale, per mezzo di un escamotage di metacinema, vengono ripescati tutti i momenti più iconici della trilogia originale e vengono rimessi in scena con i nuovi volti selezionati per l’occasione affiancandoli o alternandoli alle immagini originali del 99 ed una seconda metà che dovrebbe rappresentare invece la novità, lo sviluppo che a 23 anni di distanza ci ha riportati in sala. Il problema del quale bisogna fin sa subito parlare è che non c’è assolutamente nessun’idea, nessun’innovazione, nessuno spunto valido per giustificare questo quarto capitolo. Sembra quasi che Lana abbia voluto sfruttare la sua opera più famosa, abbia riestratto dal cilindro i frame più accattivanti e a partire da questi abbia imbrattato una bobina di celluloide senza alcuno scopo effettivo.

Matrix diviene così una parodia di se stesso, quasi letteralmente dal momento in cui nella prima ora più volte viene schernita l’idea di reboot e sequel, facendoci dunque sperare che vi sia una consapevolezza alla base di questo, speranza che scema rapidamente ad ogni minuto che passa di visione. 

I difetti sono però numerosi altri; si potrebbe partire parlando della pessima scrittura di ogni personaggio, sia dei vecchi che dei nuovi. Da un lato abbiamo un Neo stanco, spaesato e che ben poco ha dell’eletto, che si interfaccia con personaggi che vogliono essere ironici e leggeri, ma che finiscono per costellare il film di imbarazzanti sketch del tutto fuori luogo in un’opera come Matrix. Dall’altra parte abbiamo la sua rinomata spalla, uno dei personaggi femminili più celebri della storia della settima arte, Trinity (Carrie Anne Moss), che qui diviene invece unicamente macchietta di se stessa, dotata di poteri che non le appartengono e che non vengono neanche lontanamente giustificati. La presenza dei due, alla luce del finale di Revolutions, non viene spiegata, viene sbrodolata una pessima giustificazione che nemmeno regge e che soprattutto va a sminuire l’intero concetto, l’intero presupposto su cui si basava la trilogia, riducendo il tutto ad uno smielato e banale “la forza dell’amore”, concetto che mi va forse bene se sto guardando Biancaneve o la Bella e la bestia, ma di certo non una pellicola di fantascienza che si proponeva di concretizzare il mito della caverna. I nuovi personaggi purtroppo non sono da meno, sono anch’essi strascichi di idee confuse, piatti come la Pianura Padana e, soprattutto, un insulto per i loro predecessori; il nuovo Morpheus (Yahya Abdul-Mateen II)  nulla ha dell’originale, ma anzi ne intacca la credibilità e nella seconda metà della pellicola scompare, l’agente Smith(Jonathan Groff) ha un ruolo del tutto ingiustificato, cambia fazione più dell’Italia nella seconda guerra mondiale e nemmeno riesce a giustificare la sua stessa esistenza. Quello che dovrebbe essere il villain (Neil Patrick Harris) del nuovo capitolo, fornisce spiegazioni raffazzonate sul perché delle sue azioni e non rientra nemmeno lontanamente nei canoni che caratterizzavano i programmi dei vecchi Matrix.

Molte scene andrebbero ampiamente commentate, ma ciò sfocerebbe nello spoiler, in breve però questo film non è Matrix, non lo è in nessuna forma, non lo è nei concetti, non lo è nell’aspetto (dove sono i cupi colori saturi?), non lo è nella scelta di inserirvici dell’umorismo. Matrix Resurrections è una parodia di ciò che due decenni fa ci fece elettrizzare, confondere, intrippare e raggelare il sangue nelle vene all’idea che concettualmente potesse non essere così distante dalla realtà. Questo quarto capitolo non apre alcuno spunto di riflessione, non fa sorgere nessun dibattito, fa solo aprire il totoscommesse su se abbia più buchi la sua trama o una forma di formaggio svizzero. 

 

Se come la sottoscritta non avete amato neanche il secondo ed il terzo capitolo nonostante li reputaste necessari, sappiate che questo quarto non potrà che deludervi. Se potessi inghiottire ora una pillola blu per credere che sia stato solo un sogno, un pensierino ce lo farei. Ironico come un film il cui titolo è “resurrezioni”, rappresenti invece la morte per una saga. Assurdo anche come nessuno al momento della stesura della sceneggiatura abbia considerato che la resurrezione dell’eletto potesse esser giustificata come quella di un Messia invece di rabberciare soluzioni pigre e disorientate. 

Camilla.

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