Il filo nascosto -Una degna conclusione-

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Il filo nascosto è in un certo modo la pellicola dell’anno, questo non sicuramente poiché nel 2018 non vedremo opere più complete di questa, ma perché c’è l’alta probabilità che possa rappresentare l’ultimo lavoro per Daniel Day Lewis.
Quest’ultima collaborazione con Anderson segna dunque la chiusura di un’era, dell’era di uno dei più grandi attori della storia del cinema e di certo del più grande vivente.
La storia tratta delle vicende di Raynolds Woodcock, un sarto che domina la scena britannica diventando punto di riferimento per contesse e signore d’alta moda, soggetto a continue infatuazioni lampo per donne che divengono sue muse, fiori ben presto destinati ad appassire tra le sue mani callose. Amori fugaci e passionali, che periscono ai suoi capricci e finiscono allontanate dalla pacata e silenziosa dimora dalla sorella Cyril. Questo sino all’arrivo di Alma, una maldestra cameriera che inciampa, quasi letteralmente, nella vita di Raynolds. Ella si ritrova quindi improvvisamente catapultata in un mondo fatto di sete e nastri, di metri e misure, in cui la perfezione domina e non vi è spazio per l’errore, si ritrova legata ad un uomo che inizialmente pare idolatrarla, salvo poi rivelarsi che ciò che egli ama è la figura di lei, il poterla tramutare in un manichino, il poter trarre vantaggio dai suoi difetti esaltandoli e correggendoli con le sue opere. Alma è costretta dunque ad una vita fatta di silenzi e privazioni per non interferire con la quotidianità dell’artista, il tutto sotto l’occhio vigile e geloso della sorella Woodcock.

La vicenda si districa poi sul tentativo della giovane donna di costringere l’uomo ad amarla, di far in modo che sia lui a divenire il manichino, il burattino che senza i fili non può vivere né agire. Ed allora ella escogita un malsano modo di stabilire una dipendenza, un malato modo per garantirsi la sua parte di potere nella coppia e, un giorno dopo l’altro, si insinua nella psiche e nel benessere di Raynolds, si inserisce nelle trame del suo io come un filo, un filo nascosto per l’appunto, che si confonde con il resto del ricamo, ma che, un punto dopo l’altro, introduce un mutamento nella struttura di base. Quella che pareva una donna fragile e facilmente malleabile, diviene dunque silenziosamente tiranno nella dimora.
Il filo nascosto è un film visivamente perfetto, è la rifinita incarnazione del suo protagonista, sia parlando di Day Lewis che di Raynolds; due individui alla continua ricerca della perfezione nei rispettivi settori artistici, disposti a logorarsi e ad isolarsi pur di raggiungere vette artistiche inappuntabili. Il personaggio del sarto appare dunque come perfettamente cucito sull’attore destinato a concedergli la vita, perciò di certo nessuno avrebbe potuto incarnarlo meglio. Daniel Day Lewis finisce perciò per portare se stesso sullo schermo, per mostrare un’intima sfaccettatura del suo io allo spettatore un’ultima volta prima di chiudere quella che è la sua magistrale carriera.

Questa maniacale ricerca dell’assenza di difetti rende la pellicola altamente cinica e con ciò rende difficile un qualsiasi tipo di empatia con la vicenda e con i suoi personaggi; dal fragile Raynolds ai reali personaggi forti del racconto, le due donne della sua vita, entrambe bramose delle sue attenzioni. Si assiste quindi ad una meravigliosa ed impeccabile messa in scena, gelosamente custodita in un’aurea cornice, che lascia lo spettatore estraneo ai fatti, lo lascia unicamente osservatore e non gli concede mai di divenire partecipe della narrazione.

Di ragioni per vederlo ve ne sono infinite nonostante poche siano le emozioni che concede, basti pensare che potrebbe trattarsi dell’ultima chance di vedere il maestro del metodo recitativo sul grande schermo, forse uno dei personaggi più folli e misteriosi del cinema attuale.
Perciò, finché Scorsese non busserà di nuovo alla porta di un calzolaio fiorentino alla ricerca della longilinea figura di Daniel Day Lewis, andate ad omaggiare colui che ci concesse Christy Brown, Nathaniel, il macellaio e Plainview, perché di certo ne sentiremo la mancanza.
Camilla.

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