GoT: l’inverno, i draghi e il fan service

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All’alba del 28 agosto si è conclusa la settima stagione de “Il trono di Spade”; è infatti andato in onda quello che rappresenta l’ultimo finale di stagione della serie più seguita degli ultimi anni, nonché la più discussa degli ultimi mesi.

Nel bene e nel male siamo finalmente prossimi alla resa dei conti, non è più concesso tergiversare; gli schieramenti sono stati disposti, le alleanze suggellate, i tradimenti orchestrati. Ragion per cui l’unica cosa che ci è concessa fare per temporeggiare fino al 2019 è commentare ciò a cui abbiamo assistito.

 

Game of Thrones è sempre stata caratterizzata da uno sprezzante disinteresse nei confronti dei suoi personaggi; li ergeva ad eroi, li esaltava per poi, senza il ben che minimo riguardo, attaccarne la testa ad una picca. Personaggi che erano riusciti ad entrare nel cuore del pubblico finivano, gran parte delle volte, succubi di una morte priva di onore. Ed era questo l’aspetto positivo della serie, il fatto che chiunque fosse un papabile target per l’oscura mietitrice. E non importava quanto favore avesse accolto da parte del pubblico, né quanto fosse rilevante la sua storyline in quel di Westeros: se il suo nome fosse finito sulla lista scarlatta della donna con la falce non vi era alcun modo, né alcuna ragione, perché non dovesse esalare l’ultimo respiro.

Avrete notato il fatto che parlassi al passato e ciò perché ormai GoT non è più questo. Da quando non vi sono più le fondamenta cartacee è ormai un susseguirsi di improvvise resurrezioni (letterali o meno) di personaggi ed un continuo nutrire il fanservice.

Personalmente non è mai stata la mia serie preferita, se mi fosse stato chiesto di consigliarne una, almeno una decina avrebbero preceduto GoT, ma questo non toglieva il fatto che fosse una serie caratterizzata da cambi repentini di trama, personaggi ben scritti che fossero essi centrali o marginali alla storia e da una messa in scena eccellente (basti pensare a “The Battle of the bastards” ed all’agonia ed al senso di asfissia di Jon sommerso da migliaia di combattenti).

E, sebbene comprenda che, all’alba della penultima stagione, vi sia la necessità che tutti i nodi vengano al pettine e di intessere le trame per la conclusione, se si vuole che taluni personaggi -vedi Jon- giungano al cospetto del tanto bramato trono, se non vi è il coraggio di farli accogliere dal freddo abbraccio della morte, che si eviti almeno di porli in continue situazioni nelle quali la probabilità di sopravvivere sia pari a quella che Frank Underwood firmi le dimissioni. Nessuno pretende che si continui con gli stermini, ma allora non bisogna essere posti nelle condizioni di reclamarli. Che ci venga dato almeno quel poco realismo che si possa pretendere da una serie fantasy: se sette folli decidono di addentrarsi nelle terre oltre la barriera non devono improvvisamente apparire altri personaggi laddove ci debba scappare il morto.

Sebbene il pubblico sia ormai vastissimo, se ha deciso di immolarsi nella visione de Il Trono di spade ed è giunto alla settima stagione, sarà anche in grado di reggere la morte di Tormund (Kristofer ci stai molto simpatico, non vorremmo privarti dello stipendio, ma la tua folta barba rossa non aveva alcuna ragione plausibile per riuscire a salvarsi dall’aggressione di una ventina di walkers).

Ma il vero momento in cui il fan service ha toccato gli angoli più bui e reconditi della storia della serialità è stato con “Dany”. Qui dobbiamo fermarci tutti un secondo e trattenere le lacrime, siano esse causate dal riso o dalla disperazione, perché da “Daenerys Targaryen, Nata dalla Tempesta, la prima del suo nome, regina degli Andali, dei Rhoynar e dei primi uomini, signora dei sette regni, protettrice del regno, principessa della Roccia del drago, Khaleesi del Grande mare d’Erba, la non bruciata, Madre dei draghi, regina di Meereen, distruttrice di catene” non puoi arrivare a “Dany“.

NO.

Escludendo il fatto che la loro intera vicenda rasenti il ridicolo, perché questi scambi  di sguardi languidi tra due monoespressivi hanno la stessa carica di passione di un mangiatore compulsivo davanti ad un panino vegan, questo teen drama avrebbe dovuto rimanere escluso dal trono. L’episodio precedente non si fidano, non si sopportano l’un l’altro, poi basta un ormone in circolo di troppo ed un drago va al creatore, magicamente a Daenerys viene insinuato il tarlo che forse non sia poi così sterile (e fu così che la sua progenie sarà numerosa come le stelle nel cielo e come la sabbia nel deserto) e Jon decide che sia giunto il momento di inginocchiarsi. Per altro sempre sveglio come pochi il bastardo. Ed ora non si allude più alle sue origini. Sarebbe stata sufficiente un’alleanza tra i due, ma il teen drama per gli americani ha sempre il suo smodato fascino.

Nel corso di questa stagione abbiamo poi avuto anche il ritorno di altri Stark a Grande Inverno; Sansa, la quale ha -finalmente all’alba dell’ultimo episodio- preso una decisione che la renda degna di nota, ovvero quella di estirpare alla radice quell’infingardo di Ditocorto. Arya che pare essere quella con maggiori attributi nella sua casata e Bran.

Bran, che dire di lui?

Per ora non è che abbia avuto chissà quale grande ruolo, meraviglioso è anche l’entusiasmo sul suo volto alla vista delle sorelle sopravvissute. Però, per lo meno, è stato in grado di svelarci le vere origini del bastardo di casa Stark, ormai Aegon Targaryen (sebbene per essere uno che debba saper tutto faccia un pò troppe domande.. evitando di commentare quel Sand).

Per quanto concerne i Lannister Cersei, subdola fino alla fine, rimane fedele al suo personaggio, basti vedere la vendetta orchestrata per coloro che le tolsero la figlia. Tyrion rimane il personaggio meglio scritto ed interpretato dell’intera serie, il trono ai miei occhi spetterebbe a lui, a discapito di tutte le casate e di tutti i diritti di nascita.

Vota per il folletto.

Jaime, da sempre succube della sorella, pare aver finalmente trovato il coraggio ed abbia deciso di mantener fede al proprio onore.

I Greyjoy da parte loro si ritrovano ad avere un evirato che, improvvisamente, trae vantaggio dalla sua mutilazione e ritrova metaforicamente (per sua sventura) gli attributi da tempo perduti e salpa, con una ventina di uomini e poche barche a remi, alla volta delle Isole di ferro per redimersi. Nelle suddette lo aspettano lo zio Eauron, ormai accecato dalla prospettiva del matrimonio con Cersei (d’altronde si sa cosa tiri più di un carro di buoi) ed Yara, povera sciagurata che aveva riposto fiducia nel fratello. Ed anche qui, questa improvvisa esplosione di coraggio da parte di Theon non è che mi sia ben chiara.

Insomma i dati sono stati tratti, i giocatori disposti e, sia con i suoi pregi che con i suoi difetti, giunti a questo punto non si può fingere che l’attesa per il 2019 non sarà lunga e faticosa. Non ci resta solo che sperare che oltre a Theon anche gli sceneggiatori ritrovino gli attribuit per ridare al Trono di spade la brutalità che lo aveva caratterizzato nelle prime stagioni. Dopo tutto, come ci hanno fatto notare Bronn e Jaime, è tutta una questione di falli.

Noi dal canto nostro rimarremo in silente attesa e, probabilmente, continueremo ad ideare teorie e supposizioni su cosa possa avvenire; su chi finalmente poggerà il pallido deretano sul pacchiano trono, su per quale mano morranno taluni personaggi e su come ci si disferà della minaccia che incombe da nord.

 

E non sarebbe il più diabolico ed assurdo plot twist della storia se fosse proprio il magnate dei morti, il Nights king, a sedere sul trono? Sette stagioni a ridurre a brandelli le armate avversarie, a mediare e a intessere sotterfugi per poi finire a combattere con Rick Grimes.

Camilla.

 

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