The Mandalorian- Il ritorno di Star Wars-

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Abbiamo atteso la fine di The Mandalorian per poterne parlare, ma ha avuto un prezzo tutto ciò, perché ora le cose da dire sarebbero tantissime.

The Mandalorian è la prima serie live action dell’universo Star Wars dall’acquisizione di Disney ed ha aperto la strada ai futuri 10 prodotti che, solo pochi giorni fa, sono stati annunciati all’Investor Day.

Prima di tutto partiamo dal presupposto che Favreau e Filoni, i creatori, sono due geni e, in particolar modo il secondo, sono due estimatori, due amanti fedeli e due ossessivi fan di quello che è il mondo originale della saga e tutta quella passione nella serie si percepisce, è sempre infatti presente quell’agrodolce retrogusto colmo degli omaggi alla trilogia degli anni 70. Ogni singolo dettaglio presente in entrambe le stagioni è infatti un rimando più o meno palese a qualcosa nel quale ci siamo precedentemente imbattuti: alcune cose sono talmente in secondo piano nella scenografia, nell’immagine, da sfuggire ad una prima, ad una seconda e talvolta persino ad una terza visione, ma ci sono, perché se c’è qualcuno così attento ed innamorato di quell’universo da coglierlo ecco che in ogni angolo ci sarà un dono per lui. Tutto questo incredibile rispetto per il lavoro di Lucas fa si anche che, nonostante The mandalorian rappresenti un microuniverso a sé stante, sia sempre fedele a tutto ciò che successe cronologicamente prima di lui e schiacci l’occhio a ciò che ancora dovrà accadere inserendosi perfettamente nell’arco narrativo al quale appartiene. Non vedremo gli scivoloni di Singer in X-men per intenderci.

La scelta di messa in scena del personaggio del mandaloriano è quella di rappresentarlo come un pistolero solitario, un freddo cacciatore di taglie ligio al dovere che, come tutti i sopravvissuti della sua razza, è del tutto a suo agio nelle più svariate forme di combattimento. Din è anche un ferreo credente e praticante del credo mandaloriano che lo obbliga a non mostrare mai il viso ad altre forme di vita. Tutto ciò almeno rimane valido finché egli non incappa in quella che diventerà la figura cardine della serie stessa: il bambino.

Il bambino, Grogu, è stata la marionetta in grado di sciogliere il cuore a chiunque sia incappato nella sua visione, fan o no della serie. E questo è valso anche per lo spietato mandaloriano. A questo punto è d’obbligo affrontare il discorso di quanto sia brillante la messa in scena del rapporto tra i due e soprattutto del potenziale di crescita che questo abbia garantito a Din. Un applauso va di certo rivolto a Pedro Pascal (Oberyn Martell di GoT e Peña di Narcos), egli infatti, nonostante il volto perennemente coperto, è stato in grado di trascinarci nel mondo di Din fatto di emozioni sempre controllate, mai eccessive, mai fuori posto solo per mezzo della sua voce e di pochi, ma chiari, movimenti del proprio corpo. Non è assolutamente da sottovalutare la forza di questa interpretazione, perché bisogna rendersi conto che sono stati in grado di farci empatizzare con quello che è il rapporto tra un uomo di latta (si, lo so è beskar) del quale non vediamo mai gli occhi ed un bambolotto mosso da 4 burattinai. Siamo arrivati a piangere per il legame instauratosi. La crescita di Djarin è così dolcemente graduale che ogni volta che ci si addentra troppo nella sua sfera privata, sapendo quanto determinate cose abbiano valore per lui, ci si sente quasi colpevoli e si vorrebbe distogliere lo sguardo. Fondamentali in tal senso sono la prima ed unica risata che Grogu gli riesce a strappare, anche quella sempre contenuta, mai sguaiata e i due momenti in cui è disposto a rinunciare a tutto ciò in cui crede per il bambino. 

Fermiamoci quindi un secondo a parlare delle due scene in questione, perché nonostante di base simili sono in realtà profondamente diverse. Nella prima ci troviamo nel penultimo episodio di stagione, The believer, e Mando è costretto a togliersi l’elmo per far si che il suo viso possa venir scannerizzato e possa così ottenere le coordinate dell’incrociatore di Moff Gideon. In questo caso vediamo un personaggio del tutto spaesato rispetto a ciò che gli succede attorno, percepiamo l’angoscia della situazione e, appunto, ci sentiamo quasi complici del suo disagio e vorremmo alleviargli la pena distogliendo lo sguardo dal televisore, rinunciando ad essere testimoni della visione del suo viso. Din non vuole togliersi l’elmo, ma lo fa nonostante questo gli costi rinunciare a tutto ciò in cui crede, per quello che in quel momento è un bene superiore, ma immediatamente dopo cerca di far si che nulla di tutto ciò sia mai successo. E dettaglio sottilissimo, ma che mostra la dedizione al ruolo di Pascal, sono i movimenti di Din senza elmo: egli è talmente abiutato ad avere la visione periferica ridotta che, ovunque debba rivolgere lo sguardo, ruota totalmete il capo compiendo rotazioni spesso del tutto innaturali. Nell’episodio successivo invece, The rescue, Din si scopre volontariamente il viso solo per poter dire addio a Grogu; si mostra a lui in tutta la sua fragilità, con gli occhi gonfi di lacrime, i capelli spettinati ed il viso sporco, mentre tutto ciò che c’è attorno a loro perde di consistenza. Non serve proferire parola, non servono gesti, per la prima volta è sufficiente uno sguardo. Non ha valore il fatto che ci siano un imperiale, una cecchina, un soldato ribelle, due mandaloriane, un jedi ed un droide nella stanza, perchè quel momento è solo della coppia Din-Grogu. Loro devono dirsi addio, devono chiudere un arco narrativo durato 16 episodi e lo fanno nel modo più sincero ed umano possibile, guardandosi negli occhi. Ripeto, alziamoci tutti per omaggiare Pascal.

nascita del duo, che per altro si rifà alla Creazione di Adamo

ultima apparizione della coppia

La serie è stata da molti criticata per i numerosi episodi definiti “filler”, non mi trovo d’accordo con tutto ciò, in quanto sebbene molti di essi strutturalmente lo fossero, tutti hanno garantito intrattenimento, un ampliamento dell’universo ed una maggiore veridicità di quello che è il maestoso contorno alla storyline e hanno fatto si poi che tutti i tasselli si riunissero e tutti i nodi tornassero al pettine. Molti dei personaggi che hanno infatti acquisito una loro tridimensionalità in questi episodi “superflui” ai fini della trama orizzontale, hanno infatti poi avuto un ruolo chiave nella conclusione ed hanno avuto una base solida che giustificasse il loro rapporto con Mando che altrimenti sarebbe solo un solitario cacciatore. Onestamente ho anche apprezzato la loro presenza anche per il semplice fatto che la missione di Din è di una vastità devastante, egli deve infatti trovare un membro di un’antica stirpe della quale neanche conosceva l’esistenza nell’intera galassia, che si muova a tentoni da un pianeta ad un altro mettendo in palio l’unica cosa che gli riesce bene, combattere, pur di ottenere informazioni, mi sembra piuttosto realistica come situazione.

Grazie appunto a questo escamotage narrativo tutti i personaggi secondari hanno una storia ed un background più o meno dettagliato, perciò ognuno può aver garantita la sua schiera di fan. I ritorni dal vecchio universo hanno poi tutelato la fedeltà anche dei vecchi fan, soprattutto perché nessuno dei personaggi originali è stato snaturato, ma sono stati anzi arricchiti, donando maggiore spazio anche a coloro che primariamente erano stati solo un contorno per la storia che tutti conosciamo. Basti pensare a Boba Fett del quale dobbiamo fermarci ad ammirare la scena di combattimento magistralmente coreografata nel quinto episodio della seconda.

Altra nota di merito è la colonna sonora. Ludwig Göransson è stato in grado di creare un accompagnamento musicale degno dell’universo di Star Wars, amalgamando musiche che richiamano le atmosfere della saga a musiche che più si avvicinano al mondo delle trilogie di Leone. In particolare nota di merito vanno ai Leitmotiv relativi al Mandaloriano, canzone che fondamentalmente fa da giunzione, da collante, a tutte le altre melodie e a Boba Fett. 

Visivamente l’ausilio delle nuove tecnologie con lo schermo a 360° che ha permesso al reparto tecnico di ridurre al minimo l’utilizzo del green screen (consiglio la visione di Disney Gallery per approfondire la cosa), ha garantito la creazione di ambientazioni meravigliose. La fotografia in determinate sequenze è poi qualcosa di superbo, soprattutto se consideriamo che stiamo parlando di un prodotto seriale di sci-fi. 

Per quanto riguarda il comparto attoriale abbiamo gente del calibro di Giancarlo Esposito, cioè devo aggiungere altro? Pedro Pascal gente, ripeto, solo con la voce ha creato un personaggio e ce ne ha fatto innamorare. In realtà anche interpretazioni secondarie come quella di Bill Burr che interpreta Mayfeld sono in grado per alcune sequenze di rubare la scena a personaggi maggiormente chiave, anche perchè non è da sottovalutare il ruolo di costui nella prima trasgressione di Mando al credo. Infatti è tramite un bellissimo discorso di Mayfeld su ciò che siano le credenze e le culture nei diversi pianeti, su ciò che sia giusto o sbagliato sulla base delle singole tradizioni, che a Din si insinua il tarlo del dubbio che porterà poi a mostrarcene il viso. 

Ho poi apprezzato il fatto che abbiano giocato due carte che spesso risultano essere fastidiose e mal servite, perché inserite troppo forzatamente in un contesto a loro non consono. Mi riferisco al Fan Service e al femminismo. Come accennavo prima i creatori sono due fan sfegatati della saga, perciò credo che questo abbia contribuito a far si che gli omaggi e i ripescaggi dal mondo di Lucas non siano mai risultati ne troppo chiamati, ne troppo strizzati, ma adatti al loro contesto. A partire da quelli accennati nel corso dei primi episodi fino ad arrivare al clamoroso ritorno degli ultimi istanti dell’ultimo episodio. E sempre nel medesimo episodio si trova una scena di “Woman Power” che vede come protagoniste quattro donne che spesso sarebbe risultata un voler eccessivamente inserire il prodotto nel contesto storico nel quale ci troviamo, ma grazie alla gradualità con la quale vengono introdotti i personaggi e grazie anche alla collaborazione più a distanza dei due elementi maschili, la sequenza in questione svolge il suo ruolo, ma non risulta obbligata, banale, non rende nessun personaggio macchiettistico. Stessa maestria di messa in scena in cui ci eravamo trovati recentemente nella seconda stagione di The Boys. La necessità di creare personaggi femminili forti più per paura delle critiche (che comunque arriveranno sempre, basti pensare a quelle rivole a Baby Yoda che si nutre di uova di rana) che per reale necessità narrativa, spesso rischia sia di ridicolizzare il problema sociale, sia di portare in scena personaggi superflui e mal scritti che generano più fastidio che empatia, perciò non è neanche poco il fatto che siano riusciti a creare ciò. 

Ci sarebbe anche da indugiare a commentare quello che è il coraggio dimostrato negli ultimi istanti ed il colpo di coda che pare aver totalmente cambiato le carte in tavola e che preannuncia una terza stagione completamente diversa dalle precedenti. Perchè ricordiamoci che il titolo della serie è The Mandalorian, non The Child, perciò se dovessero davvero proseguire andando a scavare nei meandri di Mandalore e nel futuro del pianeta l’attesa di un anno di certo si farà sentire. E onestamente a questo punto fremo all’idea di veder Mando impugnare la Darksaber e capire come Bo Katan gestirà tale visione.

Potrei proseguire in eterno a parlarne, ma credo che fondamentalmente l’unica cosa che vada saputa è che The mandalorian trasuda Star Wars, è Star Wars allo stato puro ed entra di diritto e con prepotenza tra i migliori prodotti dell’universo del quale fa parte, arrivando anche a battere, per mio modesto parere, Rogue One e creando personaggi che entreranno certamente nell’ideale collettivo come rappresentanti della saga. Nonostante la presenza del bambino, nonostante sia diventata la figura alla quale la serie viene associata, è però meno infantile della trilogia originale, è più sporco e violento, sebbene non raggiunga i livelli cupi del film di Edwards. Perciò la gente potrà continuare a dire che dopo la prima trilogia nulla era necessario, ma se questo è ciò che la Disney è in grado di regalarci beh, io di certo non mi girerò dall’altra parte e continuerò a guardare e a farmi trascinare in questo meraviglioso mondo, perchè questa serie è stata in grado di angosciarci, tenerci col fiato sospeso, strapparci qualche lacrima e qualche sorriso e farci reinnamorare di un universo che si, continuavamo a guardare per passione, ma che stava perdendo la sua essenza nella smania di denaro. Forse a salvarlo dal rovinoso crollo degli ultimi prodotti è stato il fatto che a crearlo siano stati dei veri estimatori di quella galassia lontana, lontana, che hanno concepito si un lavoro che garantisse merchandising e rientri, ma che comunque non tradisse l’anima del racconto originale.

This is the way.

Camilla.

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