The Leftovers -Quando il Caos genera la Quintessenza-

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Chiudete gli occhi. Concentratevi. Anzi, chiudete metaforicamente gli occhi, isolatevi, altrimenti vi risulterà difficile leggere. Ora, fate balenare nella vostra mente la cosa più assurda che siate in grado di immaginare. Fatto? Prendete adesso quell’immagine ed inseritela nel contesto più irrazionale che possa esserci. In queste attuali condizioni, senza nemmeno domandarvi cosa abbiate pensato, posso assicurarvi che non sarà minimamente paragonabile alla follia, ma al tempo stesso all’irresistibilità, alla dirompenza ed all’assurdità di The Leftovers.
Un paio di giorni fa è stato mandato in onda negli USA il primo episodio della terza stagione di The Leftovers, appunto. Stagione che chiuderà quella che è una delle serie più belle e potenti in circolazione (se non addirittura la più bella).

Breve punto della situazione: la serie in questione si sviluppa a partire dall’improvvisa scomparsa nel nulla del 2% della popolazione mondiale, ma essa si va poi a concentrare sul rimanente 98%, i Leftovers per l’appunto. E la cosa sconvolgente è che pare che a nessuno, né sceneggiatori, né pubblico, interessi più sapere quei milioni di dannati che fine abbiano fatto. Se questo breve ed alquanto discutibile sunto risulta essere per voi totalmente sconosciuto fermatevi immediatamente ed andate a rimediare ai vostri errori, andate a recuperare i 21 episodi che vi differenziano da noi prescelti. Voi, 2% della popolazione che seguite la serie, proseguite.

Il primo episodio conferma ancora una volta la bellezza di questa serie. Si apre con una scena ambientata a fine 800 in un villaggio nel quale i credenti, derisi dai compaesani, paiono essere in attesa di una dipartita, il tutto accompagnato dalle inquietanti note di “I wish We’d all been ready”.

Stacco.

Tre minuti di episodio e già la nostra mente ha iniziato a domandarsi a cosa stia assistendo e, perché il dito indice non indirizzi la freccia su quella dannata “X” rossa per chiudere la pagina e farci godere la giornata di sole. Ma, soprattutto, perché questo totale nonsense ci affascini tanto.


La seconda scena pare riportarci dove eravamo stati lasciati, ma, in breve tempo, la situazione precipita.

Stacco.

3 anni dopo.

Carta bianca. Trama azzerata per la terza volta. Si ricomincia. Calma. Kevin è di nuovo sceriffo ed è in sella ad un cavallo bianco. Nessuno pare porsi il problema che in 45 secondi, buona parte dei personaggi fondamentali nella stagione precedente abbia tirato le cuoia. Ma quale è il vero problema? Non interessa nulla manco a me, perché Kevin è lì, a cavallo. È lì e gestisce la quite a Miracle, città ormai con libero accesso.


Il resto dell’episodio sviluppa quindi quelli che saranno i temi di questa stagione conclusiva, nella quale, sin dai primi minuti, sotto alla calma apparente, si cela un’aria di tensione per l’apocalisse imminente. Perché l’anniversario del 14 ottobre si avvicina, perché Matt predica un nuovo miracolo nell’omonima città e la gente si aggrappa a questa convinzione. La popolazione si trova perennemente in bilico, ogni leggera lite rischia di sfociare in un dramma. E poi c’è Kevin. Lasciatemelo dire, fico come sempre, che, prima di mangiarsi uova strapazzate e bacon, si soffoca con un sacchetto di plastica. Così, giusto per controllare di aver ancora la capacità di resuscitare. Ed anche qui, a nessuno viene da ridere o da pensare che sia ridicolo. Nemmeno quando, nella scena successiva, si dirige, come nulla fosse, al lavoro.


Le prime briciole della trama che verrà sviluppata in questa stagione vengono poi disseminate nel corso dell’episodio; dal citare l’Apocalisse fino a Matt in procinto di concludere un nuovo Nuovo testamento che vede, nel ruolo di Messia, Kevin stesso (con tanto di “the beard looks good on you” seguito da assenso generale del pubblico femminile).


E proprio quando stavamo pensando che le domande per il primo ottavo di stagione fossero finalmente concluse, eccola, la scena finale. Così come nei primi minuti si era aperta con dei piccioni viaggiatori, nelle ultime immagini vediamo una donna prendere delle colombe e portarle ad una suora. Tutto vagamente normale, salvo poi rivelarsi che, la donna che viene chiamata Sarah e che nega di conoscere Un tale di nome Kevin, sia Nora. Ed ecco che noi poveri spettatori che pensavamo di aver tutto sotto controllo riprecipitiamo nel caos e nella confusione. Ecco che le nostre meningi ricominciano a lavorare, le teorie ad affiorare: chi parla di un futuro in cui il nostro nuovo messia non riesca a tornare dall’albergo e comunichi per mezzo delle colombe, chi parla di una nuovo dramma che ha colpito la popolazione riducendola ulteriormente. Le teorie sono svariate seppure l’episodio sia andato in onda pochi giorni fa, l’unica cosa certa è che Lindelof ci tenga tutti per le.. menti. Tutti desiderosi di aver qualche chiarimento. Sebbene tutti al tempo stesso consapevoli che la maggior parte dei nostri dubbi rimarranno comunque irrisolti, perché la bellezza di questa serie risiede anche qui, nell’aria di misticismo misto realismo che è in grado di creare. E sarebbe comunque meglio una mancata spiegazione, piuttosto che una improvvisata, abbozzata, mal organizzata e che leda un prodotto per ora tanto ammaliante.


Infine, dulcis in fundo: la colonna sonora. Essa rimane sempre uno dei punti di forza di The Leftovers ed anche in questo primo episodio si riconferma di una bellezza, di una delicatezza uniche.

E, in seguito a queste premesse, non ci resta quindi che attendere. Attendere che il conto alla rovescia per l’apocalisse si esaurisca anche per noi. Non ci resta che aspettare che tutti i nodi vengono al pettine. Ciò che ci è concesso fare in questo stato di sospensione è prepararci a tutto, sempre con la consapevolezza che, a conti fatti, rimarremo comunque sconvolti da ciò che vedremo. Nel bene, si spera, come lo è stato fino ad ora.

Perciò, che dire? Comunque vada, We are living reminders che il figliol prodigo della HBO non abbia draghi e troni pacchiani, ma cultori della fede e fumatori incalliti in vesti bianche.

-7.

Camilla

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