The Handmaid’s tale -Quando la Serie Tv è femmina-

Home / RECENSIONI / The Handmaid’s tale -Quando la Serie Tv è femmina-

 

The Handmaid’s tale è la serie dell’anno; se la stagione passata se la giocava con Westworld, senza nulla a togliere alla seconda stagione da cardiopalmo di quest’ultima, nel 2018 di prodotti seriali che abbiano saputo tenerle testa ce ne sono stati ben pochi.
Per chi non la conoscesse si tratta di una serie giunta solo alla seconda stagione, tratta dal romanzo distopico di Margaret Atwood narrante le vicende di un’ancella in un, si spera, surreale futuro, in cui, a causa di una drastica riduzione delle nascite, gli Stati Uniti hanno deciso di porre rimedio al problema instaurando una dittatura basata sullo stupro, sotto forma di rituale, delle donne fertili, le ancelle per l’appunto, da parte dei più ricchi.
Raramente mi è capitato di vedere serie di una tale profondità; grazie alle magistrali interpretazioni di tutto il cast femminile The Handmaid’s tale è in grado di intrappolare lo spettatore in un’angosciante realtà nella quale l’abuso è legge.

Nella quale il proprio corpo non è che un arsenale nelle mani dei più potenti.

Nella quale non v’è libertà se non quella di resa o quella di morte.

La sua bellezza risiede in ogni singolo personaggio; mai banale, mai chiaramente schierato, sempre pronto a fornire colpi di scena, a farsi odiare ed in pochi istanti a mendicare la pietà dello spettatore, perché, in fondo, sono tutte anime costrette in un mondo assurdo, in una società delirante che condurrebbe chiunque alla follia. In tal senso spicca soprattutto Serena (Yvonne Strahovki, vista in Dexter), colei che più di tutti gioca con il nostro odio ed il nostro amore, che si fa rispettare per poi, nel giro di una scena, diventare il simbolo dell’empietà.
Nick stesso, che potrebbe essere il simbolo della purezza in un mondo tanto corrotto, commette un paio di errori evitabili.

La scena conclusiva della stagione è una delle scene più potenti del piccolo schermo: la staffetta delle Marte, coese e pronte a mettere a repentaglio le loro vite per salvarne una innocente, mette letteralmente i brividi. L’unione di queste donne suggellata dall’istinto materno, primordiale forza che le lega ad una creatura non necessariamente frutto del loro ventre, che le spinge a spezzare le catene di un folle governo, è una scena emotivamente incredibile e tecnicamente perfetta.

La regia e la fotografia di questa serie sono poi due altre note di merito, soprattutto per l’utilizzo di numerose inquadrature che relegano June (Elisabeth Moss, la Peggy di Mad man) in un angolo della scena; mostrata spesso di sfuggita, quasi fosse un bisbiglio, perché in fin dei conti la sua vita pubblica non è nulla di più se non quella di un utero fecondo, mentre la privata non è fatta d’altro se non di segreti e sotterfugi. Di bisbigli. Di amori rubati. Di ribellioni intessute nel silenzio della sua stanza.
L’armonia poi nella scelta dei colori: ciascun personaggio, a seconda del ruolo che ricopre all’interno della società, è costretto all’utilizzo di un determinato colore. Abbiamo dunque il rosso sanguigno delle ancelle, maestoso quando le si vedono marciare l’una di fianco all’altra, quando ci viene fatto intuire che, sebbene ancora loro non se ne siano rese conto, esse posseggono la forza di un esercito. Ironia della sorte, le mogli, le donne che hanno tradito il proprio sesso, che accettano il fatto che i loro mariti possano abusare delle ancelle, che ne cingono i polsi durante il rituale, vestono con il colore per eccellenza della speranza. Una speranza che stanno meschinamente rubando. Le marte sono invece vestite di uno sbiadito azzurro, un colore che pare essere prossimo a scomparire per lasciare spazio agli indumenti del resto della popolazione che, non ricoprendo alcun ruolo all’interno della gerarchia, non è degno nemmeno di poter vestire un colore ed è dunque relegato ad un’esistenza in bianco e nero con dei capi grigi.

Se nella prima stagione ci eravamo trovati dinanzi alla drammatica descrizione della routine di Gilead, senza mai aver un’effettiva possibilità di fuga per June, questa seconda ondata di episodi si incentra invece sull’evasione, sia fisica che mentale, dall’ex patria dei fast food. Per arrivare poi, nell’ultimo frame, alla consapevolezza che la ribellione è stata ormai innescata e che la fuga non è più un’opzione. Che la propria salvezza non ha scopo se Hannah, se Janine, se Rita, se Nick, se tutti coloro che sono succubi di quel dominio, rimarranno tali. Ed allora June si arresta, smette per una volta di fuggire e, resasi conto che la tela dei ribelli è ben più diramata di quanto pensasse, decide di rimanere nel cuore pulsante dell’insurrezione.

L’intera stagione muta quindi come un corpo gravido, per condurre June alla sua (ri)nascita, alla presa di coscienza del suo ruolo in questo nuovo ed aberrante mondo.

The Handmaid’s tale è una serie incredibilmente forte, che si potrebbe analizzare ed interpretare nelle maniere più disparate, in grado di aprire numerosissimi spunti di dialogo, in grado di inquietare, di angosciare, di perturbare, ma al tempo stesso di fornire immagini di uomini e donne forti, di amori inossidabili, di legami infrangibili come quello che connette una madre con il proprio figlio.

Proprio per questo è una serie che chiunque dovrebbe vedere.

Proprio per questo non vediamo l’ora che esca la terza stagione.

Camilla.

happywheels
Recent Posts