Uscito nelle sale il 13 marzo 2014 e già ha raccolto recensioni e critiche positive, “Her”, regia di Spike Jonze, è il perfetto esempio di amore ai tempi della tecnologia, visto in maniera esasperata.
Ambientato in un futuro prossimo, in cui la tecnologia vive a stretto contatto con l’uomo, in cui non esistono più le tastiere dei computer, perché bastano i comandi vocali. Non più macchine fredde e inanimate, ma veri e propri compagni di viaggio, di confidenze, in grado di provare emozioni e suscitarne di conseguenza. In questo scenario, Theodore, un meraviglio Joaquin Phoenix, s’innamora del suo sistema operativo Os, Samantha, instaurando una reciproca relazione con una macchina che non ha un corpo reale, ma che può provare sentimenti reali (o no, resto scettica a riguardo).
Premetto che trovo il film molto intenso, sicuramente due ore di vicende tengono accesa l’attenzione (a dispetto di quello che pensavo), ma è il chiaro esempio di come una relazione vorrebbe essere vissuta da un uomo.
Mi spiego meglio. Uomini e donne vivono su universi paralleli, spesso ci chiediamo cosa li accomuna e perché debbano stare insieme se sono così diversi (i cosiddetti “marziani” e “venusiani”). Spesso l’uomo si lamenta della troppa attività celebrale di una donna, del fatto che pensi troppo e che debba trovare per forza una spiegazione a tutto o rompere i coglioni insistentemente. D’altro canto spesso una donna si lamenta della scarsa attività celebrale di un uomo, del fatto che pensi troppo poco e che non necessariamente debba trovare una spiegazione a tutto e viva nella totale “sciallaggine”. Due mondi diversi. Due realtà diverse. L’uomo sogna una donna che non rompa le palle, che non abbia aspettative e pretese. La donna sogna un uomo che sia gentile e premuroso e che si ricordi del loro anniversario.
“Her” racchiude l’esempio chiaro di “donna perfetta”: colei che non chiede, colei che diverte, che non dà preoccupazioni, che si può chiamare quando si ha voglia, senza che se la prenda, che non pretende, che non ha aspettative, che ha una soluzione a tutto, che quando l’uomo vuole è pronta per soddisfare ogni suo desiderio sessuale. Tutto questo il film lo racchiude con delicatezza, senza essere sfacciatamente maschilista, ma con garbo, con “toccante piacere vivace”, come sostiene il Seattle Times.
Poi la svolta. Lui si rende conto che Lei non è così solo con lui; finché c’era l’esclusiva, tutto andava a meraviglia, poi il crollo quando scopre che lei intrattiene relazioni con altri seicento umani. Una baldracca cibernetica insomma. Cosa c’è di magico in tutto questo? Cosa racchiude di sensazionale una relazione con un sistema operativo che, lo ammetto, ha una voce davvero sexy (vi consiglio la visione in lingua originale, Scarlett Johansson ha una voce rauca che mette i brividi), ma resta comunque un frutto tecnologico astratto?
Il film è realizzato bene, nella fotografia, nelle doti recitative degli attori, nei dialoghi, nella sceneggiatura (non per nulla ha vinto l’Oscar come miglior sceneggiatura originale), ma il regista cosa voleva dirmi? Fare una critica al nostro rapporto con la tecnologia? O una critica al nostro rapportarci con le persone come se fossero macchine? Perché ormai tralasciamo le relazioni personali, per aggrapparci, in modo quasi maniacale, alla tecnologia, con pro e contro.
Il protagonista è solo all’inizio del film ed è solo alla fine del film. Nel mezzo c’è stata questa coraggiosa storia d’amore e dove l’ha portato?
Un film che mi ha spiazzata, perché mi è piaciuto nella struttura, ma mi ha lasciata basita su questi punti. Voi l’avete visto, cosa ne pensate? Apritemi la mente, io, al contrario di Samantha, non sono così perspicace.
Alla prossima!
La Nicoletta