Eco dal Lido

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Come ogni anno andare alla mostra del cinema di Venezia rappresenta il momento più atteso della fine dell’estate, quest’anno ho avuto l’opportunità di guardare 4 film, 3 dei quali non sono erano in concorso, ma per di più sono stati in grado di accaparrarsi i premi più ambiti della laguna. Sto infatti parlando di Roma di Cuarón, The Favourite di Lanthimos e The ballad of Buster Scruggs dei Coen. Andiamo quindi ad accennarvi a cosa potrete visionare nei prossimi mesi in sala (o sul divano di casa).

Leone d’oro

Partiamo dunque dal primo: Roma. L’ultima opera del cineasta messicano è di certo la più intima della sua intera carriera. Tratta da un racconto autobiografico, Roma è ambientato nell’omonimo quartiere di Città del Messico e tratta le vicende della domestica Cloe e della famiglia che l’accoglie. Un racconto personale al quale il regista decide di approcciarsi con un elegante bianco e nero. Oltre alle vicende della giovane, Cuarón delinea anche la società degli anni 70, facendo perno sui fatti più eclatanti che coinvolsero il Messico in tale periodo.
Numerose le metafore identificabili all’interno del film, il quale si apre e si chiude con l’acqua. L’acqua che di solito è fonte di vita, è invece una costante presenza negativa nella vita di Cloe, incombe continuamente su di lei. L’acqua con la quale è costretta sotto il richiamo della padrona a lavare i pavimenti, l’acqua nella quale non esita a gettarsi, nonostante non sappia nuotare, quando i bimbi a lei affidatele rischiano di annegarvici. L’acqua che le preannuncia la nascita della sua progenie, non desiderata e non destinata al mondo.
Altro dettaglio sul quale Cuarón si sofferma in diverse occasioni è l’auto della famiglia e, in particolare, sull’eccessiva cura che ne ha il marito, personaggio più che marginale nelle vicende, il quale eppure riesce ad ottenere diversi minuti di scena solo per la minuziosità con la quale parcheggia la macchina. Ponendo quindi maggior attenzione all’apparenza della casa in cui vive che non al nucleo che la abita. Al contrario invece la madre, quando ormai la fragile illusione della famiglia perfetta è crollata inerme al suolo, si scaraventa nella magione senza preoccupazione alcuna nei riguardi del mezzo, ormai riflesso di una vita passata, desiderosa solo di ricongiungersi con i suoi figli e di trovare le parole più corrette per introdurli alla loro nuova realtà.
Roma verrà distribuito da Netflix, la piattaforma che tanto aveva destato critiche a Cannes, riesce dunque ad accaparrarsi il film vincitore in laguna. La vicenda ha generato nuovamente un’accesa discussione, su se sia corretto o meno privare un film del mezzo che per eccellenza ne esalta la forma e l’essenza, ovvero la sala cinematografica. Nel caso specifico di Roma, in tutta onestà, penso che Netflix sia stato una manna dal cielo, perché è inutile girare attorno alla questione, in Italia un film simile non avrebbe pubblico e già sappiamo come viene gestita la distribuzione di simili pellicole; se sei fortunato ti spettano due città.

In una parola: malinconico.

Gran premio della giuria

The Favourite è invece l’opera di uno dei miei registi preferiti, il greco Lanthimos, che, stavolta, decide di cambiare totalmente maschera. Abbandona infatti il mondo delle distopie, in favore di un dramma storico in cui l’arguzia fa da sovrana. Un film quasi interamente femminile in cui i giochi di potere, in cui l’utilizzo della propria sessualità e del proprio acume, intessono l’intera trama. Siamo infatti alla corte della regina Anna, personaggio contorto e folle, dal passato certamente burrascoso, ma incapace di gestire un impero quanto incapace di gestire una relazione umana. Vittima della brama di potere delle sue favorite, si ritroverà al centro di un’eterna lotta tra rappresentanti del gentil sesso che di gentile hanno ben poco, in cui qualunque arma è lecita. Nel trasporre un’antica lotta eppur tanto contemporanea, Lanthimos intesse un film visivamente perfetto; una perla d’ambientazione barocca e pomposa, nella quale i personaggi maschili sono sminuiti e scherniti dalle figure femminili incredibilmente forti e delineate che si disfano dunque dell’epiteto di “sesso debole”. In questa tragicomica vicenda per mezzo dei grandangoli la solitudine intrinseca di ciascun personaggio è palesata agli occhi dello spettatore. Impeccabili le interpretazioni di Olivia Colman nei panni dell’alienata regina e di Rachel Weisz ed Emma Stone nei ruoli delle due dame smaniose d’autorità ben al di fuori delle regali lenzuola.

In una parola: fresco.

Premio alla miglior sceneggiatura

The ballad of Buster Scruggs è invece un’opera folle con ben visibile il marchio della coppia di fratelli più nota di Hollywood. Come per Roma si tratta di un film la cui distribuzione spetterà a Netflix ed è forse qui che la discussione si fa più pungente, perché i Coen non sono mai stati privati della sala.
La pellicola che in principio doveva essere una serie Tv, è suddivisa in diversi episodi il cui unico filo comune è lo scherno dei tópoi del cinema western.
Non tutti gli episodi risultano aver la stessa forza narrativa, ma il cinico umorismo li impregna tutti, taluni in maniera più evidente ed altri più velata. In particolare i primi sono i più disimpegnati, quelli che hanno generato il riso generale in sala con l’ausilio di grottesche situazioni al limite del ridicolo, in particolar modo la vicenda che interessa il Buster del titolo. Gli ultimi, oltre ad acquisire una maggior durata, mettono in scena ancora una volta, come un marchio di fabbrica, l’idiozia umana nelle sue varie e più semplici sfaccettature con però una maggior amarezza di fondo. Una pubblica gogna per ciascun personaggio. Si prova in fatti pietà per l’ingenua vedova sopraffatta dal terrore, ancor più l’angoscia attanaglia lo spettatore nell’episodio del giovane drammaturgo storpio. Si arriva poi ad un episodio che affida il suo intercedere unicamente ad un flusso verbale, ad un infinito scambio di battute tra i personaggi che siedono nella medesima carrozza in una, oserei dire evidente, citazione alla scena d’apertura di The Hateful eight. Notevole dunque la scrittura del film che, non a caso, si guadagna il premio per la miglior sceneggiatura, chapeau quindi ai fratelli sempre in grado di analizzare l’animo umano calcando la mano sulle sue debolezze ed empietà.

In una parola: brillante.

Fuori concorso

Il quarto film visionato è stato A Star is Born, opera prima come regista per Bradley Cooper, il quale ricopre anche il ruolo d’attore. Insieme a Lady Gaga ha quindi deciso di optare, per il suo battesimo dietro la macchina da presa, per un remake (di un remake di un remake) di una vecchia fiamma di Hollywood. Il film è piacevole, ma nulla di più, non è in grado di offrire nessun nuovo spunto rispetto a quelli che lo precedettero, unica nota di merito è la colonna sonora sostenuta dall’incredibile voce di Lady Gaga, la quale per altro, dopo la raccapricciante prova che aveva offerto in AHS Hotel, recupera parzialmente campo nell’ambito recitativo, con un’interpretazione quanto meno nella media. Quale sia il fine ultimo di questo film è difficile a dirsi, fondamentalmente nessuno ne sentiva il bisogno e, benché non sia una pessima opera, risulta al quanto dimenticabile, sciatto. La storia è quella della conquista del mondo del pop di Ally mediata dall’amore per Jackson, prototipo del rocker tossicodipendente, come la trama possa evolversi è abbastanza semplice da intuire, quindi forse, così come la storia narrata nel film, l’unico scopo era quello di permettere a due stelle di “nascere” in settori a loro non convenzionali, il cinema per Lady Gaga e la regia per Cooper, certo è che come inizio non si può definir scoppiettante.

Bisogna però concedere un plauso, in particolar modo a Lady Gaga, all’apprezzabilissimo intervento in ogni sala della Laguna nella quale era proiettato il film per ringraziare gli spettatori. In pochi si dimostrano così disponibili nei confronti di un pubblico senza il quale di stelle non ne potrebbero nascere.

In una parola: insipido.

È stata dunque un’annata fortunata per le pellicole visionate, perciò, nell’attesa del prossimo festival, mentre anche noi di Era Meglio il trailer recupereremo i film mancati, vi consiglio di recarvi in sala, sia essa di un cinema o della vostra dimora, per vedere almeno tre di queste quattro pellicole, perché di certo non ve ne pentirete.

Camilla.

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