Tavola imbandita; via ai difensori

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A due anni di distanza dall’andata in onda del primo Difensore ci troviamo oggi di fronte al quarto ed ultimo vigilante di New York; l’ultima carta prima che il mazzo venga rimescolato con l’uscita del crossover The defenders, sempre targato Netflix, prevista per quest’estate.

Dopo l’avvocato cieco che fa parkour, l’investigatrice alcolizzata e con qualche problema sociale, l’armadio a due ante anti proiettile è ora il turno del biondino milionario ed un poco fesso. Presentati così forse non paiono la miglior squadra messa in campo dalla Marvel, eppure ci stiamo riferendo nientepopodimeno che a Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage e Iron Fist.

Ed è appunto quest’ultima l’ultima fatica targata Netflix. Prima ancora che uscisse erano stati mostrati in anteprima a pochi prediletti i primi 6 episodi e le recensioni non parevano presagire il solito buon prodotto del connubio Marvel-Netflix, si parlava di mancanza di trama, eccessiva lentezza.

Ora che sono giunta alla conclusione di uno sfrenato Binge Watching, a discapito di studio e vita sociale (ma per il blog questo ed altro), posso dire che, si certamente non si avvicina nemmeno al livello del cugino Diavolo di Hell’s Kitchen, eppure l’ho trovato comunque un prodotto apprezzabile, non certo privo di pecche, ma nemmeno da 18-100 come lo ha marchiato Rotten Tomatoes.

Effettivamente il personaggio di Danny non è tra i più memorabili ed i primi episodi impiegano non poco tempo ad ingranare la marcia, ma è anche vero che, personalmente, la lentezza non disturba mi mai eccessivamente (infatti apprezzai anche la seconda stagione di True Detective), inoltre ci troviamo sempre di fronte alla fotografia che aveva caratterizzato anche gli altri tre difensori, in cui i colori ambrati e quelli scuri prevalgono ed impacchettano un ambiente tetro e corrotto, in cui la criminalità dilaga. Un luogo in cui prevalgono le tenebre, ma in cui, nonostante tutto, vi sono anche degli spiragli di luce, come ci fanno notare Coleen e Danny in uno dei dialoghi. La città è quindi facilmente riconoscibile e riconducibile alle altre tre serie.

 

Ancora una volta dobbiamo ringraziare Netflix, perché, per quanto sia innegabile che vi siano tempi morti ed un paio di dialoghi davvero scadenti, entrambi sono controbilanciati dalla presenza di scende d’azione egregiamente impacchettate. Nello specifico ho trovato degna di nota, specialmente per la coreografia dello scontro, una sequenza dell’ottavo episodio che vede fronteggiarsi Zhou Cheng ed Iron Fist.

Di certo non ci troviamo nemmeno vagamente di fronte ad un prodotto come Daredevil, ma, onestamente, io ho reputato questo sullo stesso piano di Luke Cage, il quale, nonostante avesse meno difetti evidenti, mi era risultato più noioso. Ovvero, per essere schietti, ero riuscita a dilatarlo in un arco temporale pari a due settimane, cosa impensabile per un soggetto dipendente da serie quale sono io. Non ha la storia, non ha i meravigliosi piani sequenze, non ha le prove attoriali di Daredevil, eppure Iron Fist rimane il cugino giovane ed immaturo che fa comunque parte della famiglia, quello a cui bisogna lasciar il tempo di crescere prima di ripudiarlo totalmente. In fin dei conti una ripresa la si è vista negli ultimi episodi, in cui ha acquisito ritmo ed i tempi morti si sono ridotti drasticamente.

 

Poi ammettiamolo, sia che non abbia appassionato, sia che l’abbia fatto, vedere Sir Loras con i riccioli d’oro sfondare pareti a pugni, era fondamentalmente l’ultimo passo che ci separava da ciò che in realtà stiamo tutti attendendo in trepidante e virginale attesa. Perché è inutile tentare di celare il fatto che tutti abbiamo apprezzato gli innumerevoli rimandi alle altre tre serie che hanno strutturato quella che sarà ora la base di partenza, l’intreccio di connessioni, su cui si sorreggerà la serie che si spera non ci deluderà e ci tratterrà in casa anche nelle afose giornate estive, quando un tuffo in piscina potrebbe essere allettante, ma i difensori nella Watch list lo saranno anche di più.

 

Penso che sia del tutto inutile commentare ulteriormente la vacua e sterile polemica che all’uscita di Iron fist aveva intasato il web, secondo cui era un insulto il fatto che il protagonista non fosse asiatico. Perché Daniel Thomas Rand ovviamente doveva aver origini orientali, essere cresciuto a New York con i genitori, per poi drasticamente e casualmente precipitare con l’aereo mentre sorvolava la patria dei suoi avi, dove, solo allora, avrebbe avuto modo di imparare le arti marziali.

Si.

In conclusione trovo che Iron Fist sia una seria valida, ma difettosa, a cui bisogna dare ancora una chance,  banalmente anche perché proviene da quell’Eden che è Netflix; patria di molte delle migliori serie in circolazione, compagno nelle giornate uggiose e tristi, fedele amico nei momenti di noia, diavolo tentatore effusore di pace in quelli di stress.

 

E poi anche solo per loro, perchè siamo sinceri, quanto sono fichi?

Camilla.

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