Joker -l’arte di fare Villains-

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Da mesi era il film sulla bocca di tutti, Joker di Todd Phillips è stato finalmente presentato a Venezia il 31 agosto ed è esattamente il film che volevamo, se non di più.
Il personaggio che Phoenix mette in scena è un Joker che non era mai stato trasposto su schermo; quella che ci viene narrata è la rovina di un reietto della società, Arthur Fleck, di un uomo che dovrebbe essere sostenuto e che invece viene deriso, emarginato, abbandonato ed è per questo la sua figura è stata più volte paragonata a quella di Trevis Bickle. Ex paziente psichiatrico alla ricerca del proprio posto nel mondo, che non vuole abbandonare i propri sogni, che brama con tutto se stesso di divenire un comico, quando l’unica risata che conosce è un riso nevrotico legato ad un evento traumatico inizialmente non ben specificato che lo attanaglia nelle situazioni meno consone.

Una risata che evade dallo schermo per ghermire la gola degli spettatori, per risuonargli nelle orecchie come il pianto sommesso di un uomo a cui il mondo ha tolto tutto, anche ciò che non ha mai avuto.

Un riso che toglie il fiato ad Arthur e a noi, tenendoci sospesi nell’ansia per le sue sorti.

Un riso che ha fatto si che nessuno si rendesse mai conto del reale lutto interiore di Arthur, nemmeno la madre che anzi al contrario lo ha soprannominato Happy, sorte ironica, per chi la felicità non l’ha nemmeno mai assaporata.

In una Gotham cupa come suo solito, in cui il crimine cresce a dismisura a causa della povertà dilagante, troviamo Arthur che di fondo sarebbe un uomo buono, un uomo alla ricerca della propria pace e del proprio equilibrio, ed è proprio per questo che è così estremamente straziante il realismo del suo rovinoso crollo, l’autenticità della sua discesa agli inferi, biglietto di sola andata pagato da chi dovrebbe accudirlo ed invece lo ghettizza, ride di lui e dei suoi sogni.

Il Joker di Phoenix è un Joker nuovo, che non ha ancora accettato la propria follia, che non vuole il caos o le urla, ma che ne è perseguitato. Ed è questa la ragione per la quale non si possono far paragoni con chi venne prima di lui.

Il Joker di Phoenix sarebbe un Joker da Oscar, se gli oscar ancora valessero.

Il Joker di Phoenix è un personaggio che crea empatia, in grado di struggerti con il suo sguardo malinconico o con le sue danze scomposte, disaggragate al suono di “That’s life”. Leitmotiv che si scava il suo spazio in una colonna sonora altrimenti bassa ed aspra, composta da poche semplici note che rintronano nella sala come un pugno nello stomaco ad ogni crescendo.

E tutto ciò fa si che ci si trovi davanti ad un cinecomic d’autore che scala rapidamente la vetta, andando a posizionarsi tra i migliori di sempre, fa si che questo sia non il Joker che meritiamo, ma quello di cui certamente avevamo bisogno. Fa si che non solo ci si trovi difronte al primo film del genere presentato ad un festival, ma che addirittura sia papabile, sia desiderabile, la sua vittoria.

Camilla.

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